Le materie prime

 

La produzione della birra è molto cambiata nel corso dei secoli. Con ciò non intendiamo riferirci unicamente ai vari processi biochimici che intervengono nella sua preparazione, ma anche agli ingredienti di base che compongono questa bevanda.

Il cereale più usato dalla notte dei tempi è stato l'orzo, anche se a tutt'oggi esistono birre di frumento, di segale, di riso, di mais e di altre granaglie ancora. L'orzo, dunque, ma quale ?

Esistono numerose varietà di questo cereale, ma sono solo tre quelle che vengono usate nel mondo birrario: si tratta dell'orzo distico, tetrastico o esastico.

Questi nomi, apparentemente ostici, racchiudono una spiegazione.

Ebbene, ogni spiga d'orzo è formata da una serie di nodi ( detti anche rachidi), ciascuna delle quali sostiene sei fiori potenziali.

Si dice quindi orzo distico, tetrastico o esastico a seconda che due, quattro o sei fiori vengano resi fertili, sviluppando un pari numero di chicchi sulle rachidi.

È abbastanza ovvio che se i chicchi sono solo due crescono in misura maggiore e più regolarmente rispetto a quattro o sei.

Ed ecco spiegato perché un mastrobirrario predilige di solito l'orzo distico. All'interno degli orzi distici la corrente di pensiero più in voga sostiene che quello a coltivazione estiva sia il migliore.

Perché l'orzo è il cereale preferito per produrre la birra? Innanzitutto è rivestito da una specie di guaina aderente e compatta che lo protegge, la cosiddetta glumella. Questa scorza protegge il chicco durante la varie manipolazioni alle quali viene sottoposto. In secondo luogo l'orzo possiede un'adattabilità climatica praticamente universale, senza particolari barriere geografiche.

Le parti più importanti del chicco d'orzo per il brassaggio sono sia l'embrione, da cui vengono prodotti gli enzimi che vengono usati nel processo di maltazione, sia il corpo farinoso, ricco di cellule amidacee. Inoltre in esso si trovano anche sostanze azotate, acqua, carboidrati, sostanze non azotate, grasse e minerali.

La maggior parte della birra è composta da acqua, che è anche la materia prima disponibile con maggior abbondanza. Non per questo motivo è l'ingrediente più facile per la birrificazione, poiché se una birra è buona lo deve soprattutto all'acqua, che dev'essere pertanto dotata di virtù particolari. Quindi l'acqua distillata non va bene, perché il liquido in questione deve essere ricco di sostanze minerali e organiche nonché di microrganismi quali batteri, lieviti e altri ancora.

Per quanto riguarda i sali minerali non si può dire che essi influenzino direttamente il sapore della birra, però contribuiscono alle reazioni diastatiche e colloidali che avvengono nel corso della fabbricazione, vale a dire i processi di disgregazione e riaggregazione delle sostanze.

Altre caratteristiche dell'acqua sono la sua durezza e la sua alcalinità. Si definisce "dura" un'acqua contenente notevoli quantità di sali alcalino-terrosi, che provocano incrostazioni alle caldaie. I più diffusi sono i sali di calcio e di magnesio. La durezza dell'acqua può essere temporanea, dovuta ai bicarbonati solubili in seguito a ebollizioni, oppure permanente, spiegabile con il fatto che nell'acqua si trovano sali che non precipitano col calore, come ad esempio il gesso. Un'acqua sarà tanto più alcalina quanto più bicarbonato si troverà in essa e d'altro canto i suoi fattori acidificanti sono principalmente calcio e magnesio. Questi fattori devono essere equilibrati nell'acqua, ma in natura essi lo sono assai raramente, per cui è necessario "trattarla".

Vi sono quattro tecniche per il trattamento delle acque: per aggiunta, per eliminazione, per modificazione, per demineralizzazione. Quest'ultimo è il metodo più moderno e consiste nel togliere i minerali per mezzo di sofisticati filtri chimici. Quindi i sali minerali vengono inseriti nell'acqua nella proporzione desiderata.

Oggi l'aromatizzazione della birra è affidata essenzialmente al luppolo, una pianta rampicante dioica, in cui cioè i fiori maschili e quelli femminili si sviluppano su piante diverse. A parte la Gran Bretagna, in tutti i Paesi si usano soltanto le piante femmine per la produzione della birra. Il motivo è presto detto: i fiori di queste piante femminili contengono la luppolina, una sostanza aromatica e resinosa. In Gran Bretagna invece i luppoli fecondati non sono fuorilegge, anzi pare che essi vadano molto bene per le birre di alta fermentazione tipiche di quelle zone.

Il luppolo è assai delicato e perciò necessita di un'adeguata protezione contro gli agenti che potrebbero alternarne le sue importanti caratteristiche, ossia contro l'aria, la luce e l'umidità. Per conservarlo viene essiccato con aria calda, quindi pressato e talvolta solforato. A differenza dell'orzo, il luppolo non è così facilmente acclimatabile, per cui la sua coltivazione avviene soltanto in zone dal clima temperato fresco.

Le zone più famose per il luppolo sono la Hallertau e Tettnang in Germania, la Saaz in Cecoslovacchia, Poporinge in Belgio e il Kent in Inghilterra. Ognuna di queste regioni produce naturalmente un luppolo diverso dall'altro, per cui bisogna conoscere assai bene le caratteristiche chimiche e organiche delle varie piante per dare l'aromatizzazione voluta al prodotto.

Tre sono i componenti più importanti del luppolo ai fini del brassaggio: i tannini, gli oli e gli acidi amari. Questi ultimi conferiscono alla birra l'inconfondibile sapore amarognolo che la contraddistingue, per cui è evidente che maggiore la luppolature sarà e più amarognolo sarà il gusto della birra. Inoltre questi acidi hanno un non indifferente pregio: quello di essere antisettici e conservanti, per cui la birra con l'aggiunta di luppolo è più stabile che con altre sostanze aromatizzanti.

Il tannino e le resine rendono invece possibile la schiuma che si sviluppa nel prodotto all'atto della spillatura.

La fermentazione della birra non sarebbe possibile se non esistesse un fungo benefico a farle da catalizzatore, il lievito.

Fin dall'antichità l'uomo si è reso conto del processo di fermentazione e pare che fin dal XV secolo avanti Cristo esistessero primitive forme di recupero del lievito. Nel Medioevo, anche se non ancora battezzato, il lievito veniva abbondantemente usato per la produzione della birra. Fu solo nel 1680 che lo scienziato olandese Van Leeuwenhoek con l'ausilio del microscopio osservò per la prima volta il fungo. Fu però Pasteur nel 1875 che spiegò per filo e per segno tutte le funzioni svolte dal lievito. In sostanza esse si possono così riassumere: l'agglomerato di microrganismi fungiformi alla base del lievito è capace di trasformare le sostanze umide contenenti zucchero in alcol.

Attualmente esistono due grandi ceppi di lieviti: il Saccharomyces cerevisiae e il Saccharomyces carlsbergensis. Il primo viene usato per le birre tradizionali ad alta fermentazione, mentre l'ultimo è largamente praticato per i prodotti a bassa fermentazione, attualmente assai più diffusi. Il primo fungo, noto come lievito di birra, serve anche per la panificazione, mentre il nome del secondo è un omaggio al danese Jacob Christian Jacobsen, fondatore della Carlsberg, e grande studioso di microbiologia.