Agli albori della sua
comparsa sulla terra, l'uomo viveva nei boschi, che ricchissimi ricoprivano
il globo, e si nutriva essenzialmente di bacche, radici, frutti e, per
quanto gli era possibile, di caccia. Questa vita difficile, dura, tesa alla
continua ricerca di cibo, fra l'altro non sufficientemente disponibile per
tutto l'arco dell'anno, faceva si che la crescita della popolazione fosse
estremamente limitata sia perché la scarsità di cibo influiva sulla
fertilità, sia perché per la sopravvivenza, i gruppi familiari o piccole
tribù, avevano bisogno di larghi spazi ove cacciare ed effettuare la ricerca
dei vegetali commestibili.
Soltanto dopo aver scoperto
l'agricoltura - ma per compiere questo piccolo passo occorsero migliaia di
anni - l'uomo poté disporre di più abbondanti quantitativi di cibo per tutto
il periodo dell'anno, raggiungendo così più sicurezza e serenità. Quindi uscì dalla foresta e conquistò i larghi
spazi delle praterie ove meglio poté applicare le pur rudimentali tecniche
agricole. Le famiglie crebbero, si formarono tribù, villaggi, paesi, sempre
più grandi centri abitativi, sino a raggiungere le dimensioni di vere e
proprie città. Sulla terra cominciava il processo di crescita della
popolazione che, nel breve volgere di pochi millenni, avrebbe portato la
civiltà dell'uomo sino ai nostri tempi. Parallelamente allo sviluppo dell'uomo, avveniva lo sviluppo
degli animali; sino a quando questi abitavano le foreste, il loro numero era
modesto e di piccola taglia. Quando anche loro invasero le praterie, la
enorme abbondanza di cibo dei ricchi pascoli li fece aumentare di numero e
di dimensione; ne é un esempio il cavallo il quale, in origine, non era più
grande di un coniglio, pur essendo già formato nella morfologia attuale.
Alcuni animali erbivori crebbero a dismisura, come i dinosauri, i
brontosauri, e di conseguenza crebbero le dimensioni dei carnivori, come i
tirannosauri. Ma tutto ciò rientra nella storia della evoluzione della
specie. Improvvisamente, per fattori
che non sono stati ancora pienamente chiariti, i grandissimi animali sono
spariti, quasi contemporaneamente, dalla faccia della terra. Una delle più
accreditate e moderne teorie, fa risalire questo accadimento nel terziario,
circa 65 milioni di anni fa, alla esplosione di una supernova nelle
vicinanze del nostro sistema solare, ad appena 880 anni luce dalla Terra;
una bazzecola! Le radiazioni avrebbero interferito sulla capacità
riproduttiva di tutta le specie viventi di grande, media e piccola taglia,
portandoli alla estinzione nel breve volgere di una generazione. Ne fu
influenzato anche il plancton che modificò in parte la sua struttura.
Sopravvissero solo alcune classi di piccoli animali e da questi ripartì
l'evoluzione della specie, ricominciando tutto da capo, o quasi.
Ma torniamo
all'uomo. Gli abitanti dei boschi, per rispondere agli innumerevoli
misteriosi interrogativi della natura, come la nascita, la morte, le piogge,
i lampi, i tuoni, il sole, le stelle notturne, la luna con le sue fasi, la
crescita dei frutti, il fuoco, il gelo dell'inverno, e così via, avevano
individuato forze misteriose alle quali attribuire la causa di quei fatti,
per la loro mente, così strabilianti e non diversamente spiegabili: stiamo
assistendo alla nascita della religiosità, con tutte le collaterali
animistiche, le credenze, i cerimoniali, i tabù, i totem, le divinità che
tanto più importanti erano quanto più era inspiegabile e misterioso l'evento
che rappresentavano. Uscendo quindi
nella prateria, l'uomo si portò appresso tutto il bagaglio religioso, e
trasferì sui prodotti del suolo, così come aveva fatto con gli animali dei
boschi, la sua cultura animistica. Nacquero allora le divinità agricole:
la dea Nidaba dei Sumeri, la vacca solare Hanub degli egiziani e Cerere, la
dea romana del raccolto. La
popolazione delle divinità crebbe così a dismisura: una per ogni evento,
spesso doppioni importati dalle tribù o popolazioni limitrofe. Gli dei erano
tanti, potenti e spesso pericolosi. Occorreva ammansirli, ingraziarseli.
Nacquero così i riti propiziatori, i sacrifici che volevano essere di buon
auspicio e di espiazione nello stesso tempo. Nei boschi l'uomo offriva alle divinità le bacche, le radici
raccolte, i piccoli animali; quindi animali più grandi ed in maggior numero
in rapporto alla ricchezza alimentare raggiunta. Nella evoluzione del
sistema si spiegano così i sacrifici umani, estrema espiazione delle colpe,
estrema volontà di accattivarsi le terribili divinità negative. L'uomo
giunge sino al sacrificio di se stesso, o dei propri figli, per arrivare al
sacrificio di altri uomini che immola in vece sua, dopo essersi identificato
nella vittima. Da ciò le guerre tribali, non solo tese alla conquista di
territori, ma anche per rifornirsi di prigionieri da utilizzare quali
schiavi e quale materia prima per i riti espiatori.
L'esempio più
significativo, sopravvissuto dalla notte dei tempi sino al medio evo, ci
viene dal popolo Atzeco. Quando Cortes conquistò il Messico nel 1519, scoprì
con raccapriccio gli orrendi sacrifici umani che questo popolo compiva in
onore delle proprie divinità, raggiungendo la non indifferente cifra di
20.000 vittime all'anno, vittime che si procurava con interminabili guerre
combattute contro le più deboli popolazioni limitrofe. La storia racconta
che quando Cortes, animato da buoni propositi - dopo però aver
sistematicamente spogliato quel popolo di tutti i suoi tesori e di tutte le
sue ricchezze - volle iniziare Montezuma, l'ultimo Imperatore Atzeco, ai
misteri della religione Cristiana, fu l'Imperatore a provare a sua volta
orrore e raccapriccio: "E' vero - si narra abbia risposto a Cortes - noi per
onorare le nostre divinità uccidiamo uomini e ne divoriamo il cuore, ma sono
pur sempre uomini, infinitamente piccoli e poco importanti rispetto alla
grandezza dei nostri dei. Ma voi per onorare il vostro dio ne divorate le
sue carni e ne bevete il suo sangue!" e con questo si riferiva al Sacramento
della Comunione. Era lo scontro fra
due civiltà, scontro che, come spesso é avvenuto nella storia dell'umanità,
é finito con la soppressione di quella più debole. Questa lunga premessa, per arrivare a soffermarci con più
attenzione su un particolare aspetto della lunga catena dei riti
propiziatori e sacrificali: quello dei cereali. Occorre sottolineare che le cerimonie sacrificali avevano due
principali aspetti simbolici. Il primo, probabilmente il più significativo,
attraverso la totale combustione del cibo, sia vegetale che animale, quale
rinuncia al cibo stesso, per far giungere, attraverso la fiamma ed il fumo,
l'intima essenza del sacrificio sino alla divinità. Nel secondo aspetto il
sacrificio si compiva divorando il cibo sacrificale, in onore della
divinità; in questo atto, il sangue della vittima, liquido misterioso che
fuoriuscendo dal corpo ne spegne la vita, ha un significato di estrema
importanza. Bevendo la coppa di sangue se ne ingerisce l'essenza sacrale,
l'essenza vitale con la quale si onora dio. Con altrettanta sacralità si
spreme il succo dei frutti per estrarre la parte più intimamente essenziale;
questo forse il motivo per il quale il primo uomo ha spremuto l'uva, con
quel che ne consegue. Questo stesso
principio ha indotto probabilmente l'uomo a far macerare la farina di
frumento nell'acqua, per estrarne la vitalità, birra primordiale passata,
nell'uso, da bevanda sacrificale a bevanda abituale. Non sembra quindi ardua
la tesi che le origini della birra risalgano sino dai tempi della scoperta
dell'agricoltura. La sacralità della birra, impiegata nelle cerimonie
religiose, si ritrova in tutta la letteratura storica, dalla sumerica alla
egiziana, come vedremo più avanti. Se
ci addentriamo profondamente nella storia, scopriamo, forse con sorpresa,
che, ancor prima delle popolazioni germaniche, grandi bevitori di birra
furono i Sumeri e gli Egiziani. La "culla della civiltà" é stata la prima
patria di preparatori e bevitori di questa nobile bevanda. Fiumi di birra
hanno attraversato per millenni l'Asia e l'Egitto, principale bevanda del
tempo, a rinfrescare gole assetate, quale preziosa merce di scambio e di
commercio, sacrale lavacro e offerta votiva nelle cerimonie religiose. Se ne
conosce perfettamente le tecniche di produzione, ampiamente codificate nei
testi sacerdotali che la definiscono di origine divina, a riprova del
carattere nutrizionale, oltre che inebriante, che la fanno assurgere a fasti
di bevanda nazionale. Se é vero che si
beve vino sino dai tempi di Noé, si beve birra almeno sino dai tempi dei
nipoti di Noé. Racconta la Bibbia che Noé fu il primo uomo a piantare la
vite e ad estrarre dall'uva un succo che trovò talmente gustoso da berne al
punto da cadere in terra completamente ubriaco, facendogli perdere ogni
dignità umana, tanto da suscitare le ire delle sue nuore, scandalizzate
dalle oscene nudità che nei fumi dell'alcol metteva in mostra. Il resto
della storia é nota: dalla costruzione dell'Arca al diluvio universale,
evento che ha certamente una sua validità storica dal momento che si ritrova
nelle leggende di moltissime religioni, fra queste nella epopea
Assiro-Babilonese di Gilgamesch, che si perde nella notte dei
tempi. Narra una antica leggenda
Irlandese che Cassair (o Cesara), nipote appunto di Noé, probabilmente
stanco di quel nonno barboso e dalla lunga permanenza nell'Arca, in mezzo a
tutti quegli animali, che fra l'altro non dovevano proprio olezzare di rose,
decise di abbandonare la navicella allontanandosi su una barchetta, portando
con se le sue poche cose, e fra queste, un pentolone di coccio con il quale
era solito prepararsi dell'ottima birra. Navigando per il vasto mare,
approdò, dopo un periglioso viaggio, sulle spiagge dell'Irlanda dove scoprì
che già da oltre mille anni gli abitanti di quell'isola preparavano birra,
secondo una ricetta misteriosa e segreta di cui erano gelosi custodi i
Fomoriani, antichi e tenebrosi abitatori delle foreste, metà uomini e metà
uccelli. Facciamo adesso un pò di
conti. Noé visse sino a 950 anni;
quando aveva 600 anni avvenne il diluvio dal quale scampò anche Cassair.
Presumiamo che piantò la vite all'età di 300 anni. Quando Cassair sbarcò in
Irlanda i Fomoriani già producevano birra da oltre 1.000 anni. Dunque la birra é più vecchia del vino di
almeno 700 anni! Scherzi a parte, ed a
parte ogni leggenda, la birra fu certamente la prima bevanda mai consumata
dall'uomo. Molto tempo prima della vite, già si coltivava nel mondo l'orzo
che, spontaneo o coltivato, fu ed é presente in tutte le latitudini della
terra, mentre é noto che la vite cresce solo nella fascia
temperata. Quando gli
assiro-babilonesi e gli egiziani, oltre tremila anni prima di Cristo,
avevano avviato la loro splendida civiltà che li vedeva grandi costruttori
di città, dense di operosa popolazione, abilissimi vasai, forgiatori e
cesellatori di metalli, ottimo tessitori ed abili tintori, capaci allevatori
ed agricoltori, conoscevano la scrittura, cuneiforme e geroglifica, sapevano
tener di conto, ed infine conoscevano le tecniche di preparazione delle loro
birre, la civiltà mediterranea era ancora nel paleolitico.
La penisola
italica, terra a particolare vocazione vitivinicola, era ancora nell'età
della civiltà villanoviana. Gli abitanti quando non vivevano nelle caverne,
abitavano capanne di paglia e fango costruite su palafitte nelle aree
perilacustri. Si dedicavano ancora alla raccolta delle bacche alternando una
forma primitiva di semi agricoltura. Praticavano la pesca e la caccia, ed
erano appena agli albori di una forma arcaica di allevamento. I suoi
strumenti erano asce di pietra levigata; falcetti, raschiatoi, coltelli,
punte di lance e di frecce ricavate dalla selce. L'era del bronzo antico inizia fra il XIX° ed il XVIII°
secolo avanti Cristo, e il settentrione della nostra penisola era ancora
avvolta nelle nebbie della Cultura Polade e il vino era ancora nella notte
dei tempi.