La birra nel mondo antico
Isthar veniva identificata nel pianeta Venere, il primo
e più luminoso astro a comparire nel cielo notturno. In suo onore era stato
eretto il tempio di Medinet-Habu dove, con puntigliosa pignoleria, nelle
tavolette contabili si annotavano i generi alimentari introitati, ed il
consumo giornaliero di bevande: ben 144 otri di birra, ed alcuni di vino e
vino di datteri. Ciò comprova, se ancora ve ne sia bisogno, oltre la
sacralità di questa bevanda, anche le sue proporzioni di consumo rispetto le
altre.
Certamente la birra era anche di uso popolare,
ma il popolo non ne poteva disporre a volontà secondo i propri desideri,
come traspare da un canto contadino che recitava con una vena di rimpianto:
"....trebbia la paglia dall'orzo, per i signori che vogliono zythum..."
(ibidem), mentre una dolcissima canzone d'amore inneggia all'amato bene:
"....quando ti bacio sulle lebbra dischiuse, sono felice anche senza
zythum..." (ibidem)
Nelle tavole raccolte nella
biblioteca di Tutmosi III° (1480 a.C.) é scritto come il dio Osiride,
divinità notturna patrono del regno dei morti, ricevesse due volte l'anno
dal faraone Sotis I° ben 1200 otri di birra che veniva impiegata per le
libagioni sacre e per essere distribuita al popolo in occasione delle
festività religiose. Narrano inoltre di Zhutu, generale di Tutmosi III°, il
quale non riuscendo a conquistare dopo un estenuante assedio la fortezza di
Yoppo, pensò bene di far ubriacare la guarnigione fenicia abbandonando fuori
dalle mure un abbondante quantitativo di otri di birra, riuscendo così
nell'intento.
Amenophis IV, figlio di Amenophis III°,
sale al trono alla morte naturale - evento raro - del padre nel 1362 a.C.
Uomo di grande apertura mentale, si rende subito conto che l'effettivo
potere é da tempo radicalmente in mano alla potente classe sacerdotale. Non
sarà dunque lui a regnare sull'Egitto, ma il Grande Sacerdote, così come era
sempre stato sin dai tempi dei suoi avi.
Uomo
intelligente, ma anche ambizioso, decide che d'ora in poi il governo dello
Stato dovrà passare nelle sue mani. Per far ciò ha un solo mezzo: destituire
la divinità imperante, il dio Ammone, ottenendo così il declassamento di
tutta la casta sacerdotale. Crea quindi una nuova divinità capostipite,
unica e sola abitatrice dell'olimpo celeste: il dio Athon, rappresentato nel
disco solare, dispensatore di luce in terra, origine di ogni specie vivente
e, come tale, padre celeste dello stesso Faraone. Cambia quindi il suo nome
in Ekenathon, letteralmente figlio di Athon, ed inizia il processo di
restaurazione facendo distruggere tutte le statue del regno del vecchio dio
Ammone, a partire dalla capitale, la città di Tebe.
In
un eccesso di moralismo ed ascetismo, ordina che sia proibita ogni
produzione di birra, che siano chiusi tutti gli spacci e fa distruggere
tutte le riserve di questo prodotto, sia nelle cantine reali che in quelle
di tutti i dignitari, sino ai più umili osti. Siamo propensi a credere che
più da un eccesso morale, fu spinto dalla necessità di precludere ogni
passata formalità religiosa che vedeva quale principale attore la birra.
Dunque il dio Athon non beve birra, e nemmeno
Ekenathon!
Ma i sacerdoti sono in grande numero,
troppo forti, ed il loro potere sul popolo ancora intatto. Ekenathon non si
attenta a scatenare una guerra civile di religione, dalla quale avrebbe ben
poche prospettive di uscirne vincitore - aveva certamente tutto il popolo
contro, se non altro per aver proibito la birra (terribile errore politico!)
- decide allora di abbandonare Tebe al suo apostata destino e di costruire
una nuova città: Amarna. In tre anni di ininterrotto lavoro di schiavi
pagati a suon di frusta, costruisce in pieno deserto la nuova capitale del
regno, ricca di nuove costruzioni, cinta da imprendibili mura e con una sola
porta di accesso. In questa fa costruire il suo nuovo palazzo ed uno
splendido santuario dedicato al suo padre spirituale, il dio
Athon.
Nella città fortezza, a Tell-el-Amarna, vivrà
monasticamente con la sua bellissima moglie Nefertiti, sicuramente la più
bella donna mai esistita nell'antico Egitto, come si può ancora vedere dagli
splendidi busti in calcare, di cui uno, scoperto nel 1912, perfettamente
conservato ed ancora fresco di vividi colori, esposto nel museo del Cairo.
Lo segue la sua numerosa corte, i dignitari della nuova classe sacerdotale
di cui egli é il capo incontrastato, ed una vasta schiera di artigiani,
servitori e schiavi.
E' una città assolutamente
autonoma, provvista di tutto ma, hai loro! non si produce una sola goccia di
birra, bevanda che il Faraone aborrisce. Pullulano però, fuori dalle mura, i
venditori di zythum e curmy che fanno affari d'oro con tutti i cittadini
meno asceti di Ekenathon.
Modesto comunque fu il
governo di questo Faraone che, governando sulla sua città, si illuse di
governare l'Egitto, saldamente in mano alla vecchia classe sacerdotale.
Alla sua morte naturale - ma ci sia concesso più di
qualche dubbio - avvenuta nel 1345 a.C., sale al trono, ancora bambino, il
nipote Tutankathon al quale aveva destinato in moglie la propria figlia, da
lui stesso sposata alla morte di Nefertiti, per farla assurgere al rango di
Regina ed assicurare così al prediletto nipote il legittimo titolo di
Faraone.
Dopo soli tre anni Tutankathon abbandonava la
città fortezza, che nel breve volgere di pochi anni si riduceva in polvere
insieme ai sogni di gloria e di un dio unico di Ekenathon. Tornava a Tebe ed
abiurando il dio solare Athon, riabbracciava la vecchia fede del dio Ammone
e, con sommo gaudio dei sacerdoti i quali in tutto ciò dovevano avare messo
più di uno zampino, cambiava il suo nome in Tutankamon. Chi non conosce oggi
questo nome di Faraone, illustre sconosciuto per il suo brevissimo regno, ma
tramandato in eterno ai posteri per la ricchezza del ritrovamento della sua
tomba.
Quando nel 1922 Lord Carnarvon e l'archeologo
inglese Howard Carter stavano compiendo scavi nella Valle dei Re, in Egitto,
si imbatterono casualmente in un sigillo che riportava il cartiglio di un
fantomatico faraone, Tutankamon, del quale nessuna traccia figurava nella
sia pur lunga e minuziosa genealogia delle stirpi faraoniche. Con la
pazienza del certosino ed animati dalla speranza di trovare una nuova tomba,
cominciarono gli scavi. La loro costanza fu premiata quando, dopo un
considerevole numero di insuccessi, poiché la vera tomba era protetta da una
sequela di finte porte, finti corridoi e finte camere mortuarie, si
imbatterono nell'anticamera della vera camera mortuaria. Il sogno segreto di
tutti gli archeologi si era avverato! la più grande scoperta archeologica
del mondo! la prima ed unica tomba di faraone assolutamente intatta ed
inviolata. Nell'anticamera giacevano alla rinfusa centinaia di oggetti -
ciascuno dei quali avrebbe fatto la fortuna di un archeologo - dal più
semplice utensile di uso comune, al più raffinato oggetto regale: il carro
da battaglia, sedili e divani di fattezza squisita intarsiati d'avorio ed
oro, animali fantastici scolpiti in legni pregiati ed il pezzo più
importante della collezione: il trono del re con effigiato sulla spalliera
il ritratto del re e della sua consorte.
Carnarvon e
Carter pensavano di aver trovato tutto il trovabile, ma erano appena
all'inizio. Scavando ancora per scoprire la cella mortuaria, si imbatterono
in una seconda stanza ancora più ricca di reperti, molti dei quali erano
oggetti preziosi di raffinata fattura. Un tesoro di immenso valore! Ma le
sorprese non erano ancora finite. Ancora una porta sigillata ed una terza
stanza, aperta la quale si trovarono di fronte ad un muro d'oro, ma che si
rivelò essere la parete di una enorme cassa dorata, all'interno della quale
vi era una seconda cassa anche questa dorata, quindi una terza ed ancora una
quarta, come in un gioco di matrioske russe. All'interno di questa ultima
cassa si trovava un sarcofago di quarzite gialla, lungo circa tre metri ed
alto uno e mezzo, sul quale spiccava il ritratto in legno di Tutankamon.
Convinti di essere finalmente arrivati alla mummia del faraone, sollevarono
la pesante lastra di marmo che ricopriva la cassa e trovarono una prima bara
avvolta in bende di lino che sostenevano la prima delle maschere d'oro
tempestata di gemme che rappresentava il volto del Faraone. All'interno di
questa ancora un'altra cassa con ancora una maschera funeraria d'oro
massiccio, coloratissimi smalti e pietre preziose. E per finire, ancora
un'altra cassa, la terza ed ultima, tutta in oro massiccio, dal peso di
svariati quintali, nella quale finalmente fu raggiunta la mummia del Faraone
sulla quale troneggiava la terza ed ultima maschera funeraria, la più bella,
la più nota al grande pubblico.
A conti fatti, il
corpo del faraone riposava in una sequela di otto casse, e tornava alla luce
dopo 3270 anni! Come ebbe a dire Carter, l'unico merito ed aspetto
importante della vita di Tutankamon fu "perché morì e fu sepolto" con fasti
e ricchezze di tesori d'arte e di preziosi mai eguagliati da nessun altro
faraone nella storia d'Egitto.
Ma torniamo alla nostra
più semplice e genuina birra.
Memorabili devono essere
stati i banchetti in tutte le dinastie dei Faraoni; fiumi di birra, non
metaforici ma autentici fiumi di birra, attraversavano le mense regali
riccamente imbandite, lungo le quali scorrevano rivoli di birra
continuamente alimentati da capaci otri di zythum. I commensali non dovevano
fare altro che immergere le coppe e brindare, brindare, trascorrendo le
lunghe giornate delle innumerevoli festività religiose fra montagne di cibo
e torrenti di birra, fra canti sacri e danze un pò meno sacre, sino a quando
tutti cadevano esausti dalle pantagrueliche mangiate e bevute. Non per nulla
si sta parlando di banchetti faraonici!
Quando nel
1934 un gruppo di archeologi francesi cominciò a scavare nella zona di
Tell-Hariri, erano ben lungi dall'idea di scoprire l'antichissima,
famosissima ma altrettanto fantomatica città di Mari, città che, sorta nel
III° millennio avanti Cristo, assurse al massimo fasto sotto il regno del
suo ultimo re Zimrilim e fu distrutta, rasa al suolo e bruciata dagli
eserciti di Hammurabi di Babilonia nel 1739 a.C. Da allora era rimasta
sepolta per quattromila anni, sino a quando, appunto nel 1934 se ne
intraprese lo scavo.
Il palazzo reale, che ricopriva
l'astronomica superficie di 30.000 mq., era dotato di ben trecento stanze di
cui due, evidentemente quelle dell'appartamento personale del re, corredate
di tutti i servizi igienici e da due vasche da bagno collegate a grandi
caldaie di terracotta per scaldare l'acqua. E ancora stanze destinate ad
aule scolastiche, con file di panche e scrittoi e con stili e le tavolette
di terracotta come se fossero appena state usate dagli scrivani. Ma la
grande sorpresa fu la biblioteca, una immensa stanza rettangolare
letteralmente piena di tavolette che il fuoco anziché distruggere, aveva
consolidato rendendole leggibili. Parte erano ancora ordinatamente
alloggiate sugli scaffali, altre erano cadute e ricoprivano il pavimento
sino a due metri e mezzo di altezza.
Lettere,
rendiconti, atti di governo, intrighi politici, resoconti di viaggi, di
battaglie, storie di uomini e di divinità; scorci di vita quotidiana che
doveva essere scorsa intensa e ricca di eventi scrupolosamente annotati e
codificati. Più di ventimila tavolette, solo in minima parte tradotte, fra
queste, la contabilità della produzione, della vendita e delle donazioni di
birra, di orzo per birra e per la panificazione.
Ma il
ritrovamento, per noi birrofili, più interessante fu quello della Dea
zampillante, una statua di donna, di normale altezza, con in mano un vaso
recanti i sigilli dell'orzo e della birra. Attraverso una canalizzazione
interna alla statua, collegata con una grande anfora esterna, scorreva la
zythum che fuoriusciva dal vaso. Ingegnoso sistema per alimentare i già noti
fiumi di birra che attraversavano le mense dei
Faraoni.
Non possiamo certo chiudere questo capitolo
sull'Egitto senza accennare all'ultima regina della sua storia, la più nota
la più chiacchierata: Cleopatra.
Tutti ne conoscono la
storia, più o meno veritiera, narrata, romanzata, cinematografata, ed é a
tutti noto come, sentendosi vecchia, non più desiderata, sentendo di aver
perso il suo ben noto fascino femminile, e timorosa di essere trascinata a
Roma quale trofeo di guerra, decise di por fine ai suoi giorni facendosi
mordere il seno da un aspide.
Ebbene, prima di
compiere questo ultimo definitivo gesto, si fece mescere dalle ancelle due
coppe di sà, la forte birra degli dei, che offrì una a se stessa, prossima
dea sorgente dall'imminente morte, ed una alla dea Anubi che l'avrebbe
accompagnata nel lungo viaggio d'oltretomba.
L'olimpo
egiziano è costellato da numerose divinità, in un complicato gioco di
personificazioni e metamorfosi. Fra queste la potentissima Hothor, figlia di
Rie, una delle maggiori dee del pantheon egiziano, divinità solare femminile
impersonata nel sicomoro.
Nella rappresentazione del
sole era impersonata dalla vacca Hanub, con l'emblema del disco solare fra
le corna e con le mammelle che spargevano latte e birra. Il popolo egiziano
usava portare al collo una sua effigie sia come talismano contro le
malattie, sia come portafortuna per assicurarsi, siamo convinti, ampia
disponibilità di birra per tutto l'anno.
Anche in
medicina e nelle formule magiche la birra rivestiva carattere di grande
importanza; come balsamo contro le malattie con particolare riferimento a
quelle di origine intestinale, per curare le ferite, come antidoto al
velenoso morso degli scorpioni. Si racconta che il mago Dodi, con ripetuti
impacchi di birra, riuscì addirittura a resuscitare un toro ed un'oca
riattaccandone la testa mozzata.
La birra era inoltre
comunemente impiegata quale complemento agli emolumenti degli operai.
Infatti, durante i lavori della grandi costruzioni, nelle miniere o nei
semplici lavori dei campi, oltre al salario, agli uomini liberi veniva
distribuita una misura di birra ogni tre ore, agli schiavi due misure al
giorno mentre ai prigionieri di guerra - meschini! - quando andava bene, una
misura al dì.
Vastissima la raccolta di reperti
archeologici che ci raccontano di birra e dei costumi birrari egiziani. In
centinaia di rotoli di papiro viene menzionata la birra nei suoi momenti di
consumo abituale e quotidiano; vasi e vassoi istoriati con scene di raccolta
dell'orzo, della sua produzione, di cerimonie religiose; bassorilievi con
spighe di orzo, vasi da birra, geni seduti sotto l'albero della birra,
rappresentazione figurata dell'albero della vita. Famosa la statuetta
conservata nel museo di Firenze e che rappresenta una donna inginocchiata,
intenta ad impastare pani per birra. Formidabile lo stendardo murale dipinto
all'interno della tomba di Ti, dignitario di corte preposto alla
fabbricazione della birra riservata alla corte del Faraone, nel quale, in
una lunga sequela di scenette, vengono istoriate le varie fasi della
lavorazione della bevanda.
Al Louvre, un plastico a
tutto rilievo, ritrovato nella tomba del cancelliere Nakhti-Assiout, mostra,
a cielo aperto, l'interno di una fabbrica di birra, con personaggi intenti
alle varie fasi della lavorazione.
Bellissima la tomba
di Ounson e di sua moglie Imenhetep, contabile dei sacri granai di Ammone
nella città di Tebe nella XVIII dinastia, interamente trasferita e
ricostruita in una sala del Louvre. Gli stendardi dipinti lungo le pareti
rappresentano tutte le fasi inerenti la semina ed il raccolto dell'orzo.
Nella parte riguardante la mietitura, fra le alte spighe, frammiste alle
figure degli schiavi intenti al lavoro, circolano portatrici di anfore da
birra intente ad offrire la ristoratrice bevanda.
Sempre al Louvre, scolpita su di una lastra di marmo, la Tavola dei conti,
il menu dei morti, con il lungo e dettagliato elenco di tutte le cibarie e
le bevande da porre nella tomba a ristoro del defunto, e fra queste: "due
misure di birra - una misura di birra al miele di datteri - una misura di
vino di datteri - ...."